L'INFLUENZA DEI PITTORI VENETI IN PUGLIA NEL XVI SECOLO
La pittura del Veronese in Puglia
Opere del Veronese sono sparse a Bari, Monopoli e in diversi paesi del Salento. A Ostuni una splendida deposizione dalla Croce del 1572 circa
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Uno dei principali esponenti della pittura "veneziana" nel XVI secolo fu Paolo Caliari, detto il Veronese. Rimanendo negli immediati confini della Serenissima Repubblica di Venezia e nell'entroterra veneto, numerosissime sono le opere attribuite al Caliari e alla sua rinomata bottega. Dopo la Battaglia di Lepanto (1570) e la crisi economico-politica di Venezia ad essa conseguente, anche l'arte veneziana dovette "emigrare" per sopravvivere ed accettare committenze di ogni tipo e da ogni parte d'Italia. Non fece eccezione la bottega di questo artista che passò dall'essere un artista più incline verso le opere "laiche" e con chiari riferimenti politici, soprattutto dopo il Concilio di Trento dovette attenersi a impostazioni rigorose anche nelle opere religiose, seppur non sacrificando nulla della sua capacità e ispirazione cromatica, lasciando le sue opere sempre con colori vivi e accesi. Pur non essendo a conoscenza di viaggi del Veronese in Puglia sappiamo che esso era comunque conosciuto ed apprezzato negli ambienti artistici, vescovili e nelle corti signorili, mentre di una maggiore fama godeva il Tintoretto. Possedere un dipinto di questi due artisti significava, oltre ad avere tanto denaro, anche buongusto, animo sensibile e rivolto ad una ricerca continua del “bello”. L'influenza e la dipendenza politica, commerciale e militare veneziana in Puglia, lo sappiamo, all'epoca era fortissima e si esplicitava in diverse forme, tra le quali anche l'architettura.
Solo poche famiglie, nobili o di ricchi mercanti, oltre alla Serenissima o alle personalità ecclesiastiche, potevano permettersi di commissionare delle opere del Veronese. Pina Belli D’Elia descrive come "per un committente barese [...] Paolo Veronese era soprattutto una firma, un nome cui affidare la fama delle proprie ricchezze; e quindi un pittore non solo sicuramente affermato, ma ormai famoso fuori della patria" .
Tra l’altro, quando si parla di Veronese, si intende anche la sua “bottega” e non soltanto il “titolare” Paolo Caliari. Appunto per questo l'attività della sua “fabbrica artistica” potremmo allungarla di oltre un decennio dopo la sua morte, grazie al fratello Benedetto e dei figli Carlo e Gabriele.
La committenza salentina, in particolare, era molto attratta dal lavoro del Veronese. Lecce vantava nella chiesa di San Pasquale un dipinto coi Santi Filippo e Giacomo (ora misteriosamente scomparso), ma anche in provincia l’artista era molto richiesto. Il biografo Pietro Caliari ammette che deve "questa notizia al prof. Antonio Fiorentino, il quale mi scriveva come anche a Melpignano, piccolo paese nelle vicinanze di Lecce, presso la famiglia De Luca, esistono altri due quadri del nostro medesimo autore” . Tela questa che, invece, potrebbe essere oggetto di equivoco, poiché successivamente attribuita a Paris Bordon. Sempre a Lecce si trova un'altra tela inizialmente attribuita al Veronese. Si tratta della Natività della Vergine nella chiesa di Sant’Antonio che fu commissionata dalla famiglia Personè. La presenza del Veronese si riscontra anche a Tricase all’interno della Chiesa Matrice dove il Micetti accenna ad una tela “del famoso Titiano” che invece pare essere proprio del Veronese.
Ad Ostuni possiamo ammirare una tela del Veronese di splendda fattura, all’interno chiesa della SS. Annunziata raffigurante la Deposizione di Cristo dalla Croce (foto in alto a sinistra) e datata tra il 1574-1576 ca. dovuta alla committenza del “magnifico” Andrea Albrizi un lombardo iscritto al patriziato cittadino sin dal 1558, nominato viceconsole della Repubblica di Venezia dal 1574 al 1579 con l’incarico di gestire il traffico dell’olio per conto della Serenissima, che volle ornare la propria cappella gentilizia all’interno della chiesa, all’epoca affidata ai Frati Minori Osservanti. Curiosa la vicissitudine di quest'opera. Infatti apprendiamo da fonti cittadine che ci fu un tentativo avanzato da colui che divenne duca di Ostuni, ovvero Giovanni Zevallos, di acquistare e portare a Napoli la tela ostunese. Il tentativo venne evitato per mano dei Padri Riformati puntando sulla predisposizione artistico-pittorica di un frate, tal Giacomo di San Vito, che eseguì in una sola notte una copia praticamente identica del dipinto. La tela venne poi appesa sull’altare sostituendola all’originale, che venne ovviamente portato via dai frati per evitare che venisse trafugato. Il falso Veronese salvò quindi la copia originale e non sappiamo se esso venne comunque acquistato dal Duca. Il dipinto è oggi visitabile, in originale, esposto nella navata sinistra della chiesa dov'era in origine. L'opera ha subito altre tragiche avventure, infatti nella notte del 23 ottobre del 1975 venne rubato dalla sua cappella per essere rivenduto illegalmente nel florido mercato dell'arte. Venne per fortuna recuperato un paio di anni dopo in una località vicina (in un casolare presso Punta Penne a Brindisi) e prontamente restaurato.
Spostandoci poco più a nord nel Museo Diocesano di Monopoli è conservato un preziosissimo dipinto, precedentemente custodito nella chiesa di San Francesco d’Assisi. Questo dipinto è considerato quello con “maggiori affinità compositive con la pala proveniente dalla Cattedrale di Bari” . Esso raffigura la Madonna con Bambino in gloria, Santa Dorotea, San Francesco d’Assisi, San Pietro, San Paolo, ammirato nel 1643 dallo storico e teologo brindisino Glianes sotto il titolo di “Tutti i Santi” .
Un altro dipinto, attribuito alla bottega del Veronese, è la Glorificazione della Croce della chiesa di Santa Croce a Bari, che avremo modo di approfondire nel prossimo capitolo.
Prima della famosa battaglia di Lepanto, ovvero quando Paolo Caliari poteva addirittura permettersi di “scegliere” cosa e dove dipingere e soprattutto a quale prezzo, un dipinto di media grandezza veniva a costare tra i 300 e 500 ducati (le tariffe variavano in base ai committenti, più basse per le opere richieste dagli esponenti ecclesiastici, più alte per i privati). Per capire quanto potesse valere un dipinto è sufficiente confrontare queste cifre con il fitto che lo stesso Caliari pagava per la sua bottega veneziana, ovvero ben 60 ducati ! Probabilmente le tariffe e i committenti cambiarono, come detto, dopo la Battaglia di Lepanto.
Difatti, la grave crisi economica e sociale che attanagliò la Repubblica di Venezia costrinse anche il Veronese ad essere meno selettivo, ad accettare anche opere fuori dai confini repubblicani e a prendere in considerazione le richieste più diverse, accettare temi che forse qualche anno prima avrebbe rifiutato di dipingere, e addirittura ad abbassare le pretese economiche. Questo non significa che la pittura del Veronese perse valore monetario o qualitativo. Tutta la sua maestria, la sua tecnica, la sua abilità pittorica proseguì senza subire alcuna influenza esterna.
Crisi economica sì, ma non crisi artistica.