Barbato
tentò di indurre i Longobardi ad abbandonare i loro culti pagani facendo leva anche sulle vicissitudini legate alla minaccia bizantina
LE LEGGENDE DI SAN BARBATO, BENEVENTO E I LONGOBARDI
L'azione missionaria e l'opera miracolistica di Barbato venne ingigantita col passare degli anni e l’agiografia del Santo fu fortemente condizionata da questi eventi considerati in parte fantastici
Incerte
sono le origini di Barbato che alcuni autori, soprattutto locali, vorrebbero
nativo di Cerreto Sannita o di Castelvenere, in provincia di Benevento tra il
602 al 604, anni identificati come probabili della sua nascita. Sul Santo
beneventano si sono fatte le ipotesi più diverse ed anche le leggende legate
alla sua figura sono davvero tante e sparse per tutto il Sannio.
Che
Barbato fosse comunque di origini sannite , almeno, sono tutti concordi, così
come non vi sono dubbi sulla sua presenza a Benevento nel momento della
minaccia di assedio da parte dalle truppe bizantine di Costante II per
riprendersi le regioni perse precedentemente. La città all'epoca era
amministrata dal duca Romualdo che temendo una disfatta contro il più
organizzato Costante chiese aiuto a suo padre Grimoaldo che non lasciò il
figlio in balìa dei bizantini e organizzò una spedizione a supporto dei
beneventani partendo da Pavia.
E’
proprio in questa fase, intrisa di eventi fantastici, leggende e ovviamente
anche di storia, che la figura di San Barbato emerge con forza. Le
ricostruzioni popolari e le trascrizioni agiografiche documentate sono talmente
intrecciate tra loro da rendere complessa quella che dovrebbe essere la verità
storica su questa figura.
Scopriamo
pertanto i due volti della storiografia del Santo. Seguendo la tradizione
popolare, e quindi le ricostruzioni leggendarie, nel momento della presenza di
San Barbato a Benevento i Longobardi erano ancora etichettati come dei
dominatori legati ad alcuni culti idolatrici che rappresentavano la persistenza
di antichi usi della loro tradizione. Tra questi troviamo l’adorazione della
vipera, un’effige aurea che lo stesso duca Romualdo conservava con orgoglio e
venerazione nel suo palazzo, e non ultimo la venerazione del cosiddetto “albero
sacro” legato al rito della pelle di caprone tra i rami. A questa tradizione
pare sia legata anche la leggenda del noce e delle famose “streghe di
Benevento”. Nel momento della loro conquista beneventana il territorio era già
da tempo cristianizzato e pertanto il clero cattolico non guardava di buon
occhio la tradizione della corte longobarda e cercò in tutti i modi di sopprimere gli usi pagani, spesso senza alcun
risultato. La minaccia portata avanti da Costante II fu l'occasione giusta per
tentare il colpo di mano cattolico ed il
protagonista della conversione fu proprio Barbato che riferì a Romualdo come
l’arrivo probabile e inevitabile dei bizantini fosse una punizione celeste
legata ai loro culti “insani”. Con questo stratagemma Barbato tentò di indurre
i Longobardi ad abbandonare i loro culti pagani intrisi di segni blasfemi.
Scosso dalla terribile profezia il duca Romualdo cedette e promise a Barbato,
se la città fosse stata liberata dalla minaccia dei Greci, di abbandonare i
loro riti. La rinuncia di Costante
all'assedio venne letta dalla popolazione e dalla corte Longobarda come un
miracolo del Dio alle preghiere alla intercessione di Barbato, che da quel
momento venne considerato alla stregua di un Profeta. La vera ragione della
marcia indietro di Costante ovviamente fu un’altra e di natura tutt’altro che
mistica, costretto infatti a ritornare sui suoi passi una volta saputo
dell’organizzazione di una forte risposta da parte del Re Longobardo Grimoaldo.
Ma l’eccitazione popolare spinta dalla suggestione mistica del momento,
decretarono la vittoria del sacro sul profano, del “bene sul male”, tanto che
Barbato si sentì legittimato ad abbattere l'albero sacro e, col benestare del
duca e l’acclamazione del suo popolo, venne eletto vescovo di Benevento. Secondo
la leggenda però, sembra che il duca Romualdo abbia continuato a venerare di
nascosto la “vipera” all’interno del suo palazzo, nonostante la conversione di
facciata compiuta davanti al nuovo Vescovo.
La
pratica “clandestina” giunse alle orecchie di Barbato grazie alla complicità
della moglie Teoderada, convertita da subito e con fierezza al cristianesimo.
Infatti, sempre la leggenda, ci tramanda di un escamotage orchestrato dal
Vescovo e dalla duchessa ai danni di Romualdo. Approfittando
di una battuta di caccia sui monti Dauni i due complici portarono via dal palazzo il simulacro e fondendo l’oro produssero
degli oggetti sacri, ovvero un calice e
una patena (piattino). Romualdo non prese bene quella iniziativa e non perdonò
facilmente quel gesto. Ma il tempo sanò ogni ferita riportando il sereno a
corte e la conversione totale del duca.
I
Longobardi portarono nel sud Italia diverse tradizioni che ancora resistono. Ad
esempio, le diverse pratiche legate all’estirpazione del malocchio provenivano
proprio dal loro culto, modificatosi ovviamente nel tempo e mescolatisi con le
tradizioni autoctone.
L'azione
missionaria di Barbato venne ingigantita negli anni successivi e l’agiografia
del Santo fu fortemente condizionata da questi eventi tanto che ormai anche la
storia attribuisce al Vescovo di Benevento il merito di aver cancellato gli
ultimi residui usi e riti germanici in seno ai Longobardi del sud. Tradizioni
molto forti che erano sopravvissute ad una conversione al cristianesimo
inevitabile, ma ancora non completamente compiuta.
Ma
al Vescovo di Benevento sono attribuite anche altre vicissitudini legate al
destino della diocesi. Alcuni studiosi associano a Barbato l'erezione della diocesi
beneventana come “metropolitana”, includendo come suffraganee Siponto, Bovino e
Ascoli Satriano, in base ad un documento papale che però confermerebbe soltanto
la giurisdizione su Siponto e sul santuario di S. Michele Arcangelo, lasciando
fuori le altre diocesi.
È
indubbia invece una donazione fatta al vescovo da parte del duca Romualdo proprio
della chiesa di San Michele Arcangelo, chiesta espressamente da Barbato con
l'intenzione di restituirla al culto dopo essere stata saccheggiata ad opera
dalle milizie bizantine di Costante II. Ora
le spoglie di San Barbato sono in parte nel Santuario di Montevergine e in
parte nel Duomo di Benevento e, comunque la si legga, la sua storia ha
influenzato pesantemente la storia del sud Italia